Il manicomio di Cogoleto è un luogo per me estremamente importante a cui sono profondamente legato: è il primo manicomio che ho visitato fuori dalla mia regione, è il manicomio in cui ho speso più tempo per una sessione (3 giorni, prendendomi un albergo nella vicina Sciarborasca), il manicomio dove ho scoperto il ruolo di quella mura e di come fosse cambiato il soggetto da difendere.
I primi faldoni con gli indumenti dei ricoverati che abbia mai vist0, i bagni con le porte basse, i vestiti dei pazienti dentro quell’immenso spazio che lo rende manicomio più esteso d’Italia.
Ma mi ricordo anche il mio primo pranzo dentro un reparto con gli infermieri e le simpatiche chiacchiere innescate a tavola alla mia domanda: “Ma siete Genoani o Sampdoriani?”.
A Cogoleto è stato ospitato da A.C.C.O. il mio primo evento pubblico (Archeologia Sanitaria nel 2015) e da quell’incontro si è messo in moto una serie di dinamiche che mi hanno portato alla creazione della mia prima pubblicazione: Anime di Cartapesta.
Ho sempre vissuto Cogoleto come una seconda casa proprio per il calore che ho vissuto.
L’intervista che leggerai è dedicata alla voce prestata alla mostra 15×10 per le foto di Cogoleto: lei è Maria Rosa Calcagno.
Maria Rosa nasce il 05/10/1953 ad Arenzano. È sempre stata considerata una pecora nera perché ha sempre vissuto oltre gli stereotipi; è mamma, nonna e pensionata felice, asociale, amo gli animali e condivido con loro la mia vita: 3 cani e 4 gatti.
Vive a Stella S Giovanni e questa è la sua testimonianza.
Perché hai scelto di lavorare in manicomio?
Non ho scelto, mi è capitato e ho accettato. Ero giovane a avevo bisogno di lavorare.
Che idea avevano le persone del manicomio quando hai iniziato la tua carriera lavorativa?
Il Manicomio era il posto dove mettere le persone scomode, le persone affette da qualsiasi disabilità per nascondere la vergogna, c’erano anche i “pazzi”. I “diversi” dovevano essere nascosti e ben lontani dai “normali”, non avevano nessun diritto, erano dei numeri.
Cosa hai imparato dalla tua esperienza così a stretto contatto con la disabilità mentale?
Ho imparato che l’Amore fa miracoli e anche chi si pensa non capisca nulla invece capisce l’Amore, il rispetto è reciproco anche con chi vive nel proprio mondo, bisogna lasciare in pace le persone e queste, anche se sono “pazze”, non ti cercano .
Come ha influenzato il tuo modo di vivere il quotidiano?
È stata dura perché prima di tutto mi sono trovata in un mondo sconosciuto, di persone “diverse” che nn conoscevo, qualcuna mi faceva paura per la sua “diversità” poi c’era il nonnismo e lo stile caserma e per una come me ribelle, alternativa, fuori dagli schemi è stata dura i primi tempi, poi mi sono fatta le mie ragioni però ho pagato le conseguenze .
Come hai gestito l’empatia e il dolore che questo spazio poteva trasmettere?
Il dolore è stato tanto e prolungato per tutto il periodo che ci sono stata, ho sempre contrastato questo dolore cercando di donare Amore, rispetto, dolcezza a queste persone che non ne avevamo da nessuno, donare per me è più bello che ricevere: sono empatica e l’empatia non la puoi gestire, la devi vivere.
Che rapporto hai instaurato con i pazienti?
I primi tempi ne avevo paura e li tenevo a distanza, leggende metropolitane di mostri raccontate dal di fuori o da chi ci lavorava.
Poi col tempo, conoscendo le varie patologie e stando più vicine a queste persone, ho capito da chi dovevo stare lontana perché in effetti erano pericolosi e da chi invece sapeva darti tanto ed era meraviglioso. Ho instaurato un rapporto di rispetto, di allegria, di comunicazione, entrando nel loro mondo, di Amore, di affetto, anche con chi dicevano “non capiva nulla” l’Amore lo capisce chiunque solo che ce n’è troppo poco ormai e per “quelle persone” non ce n’era proprio.
Qual è la persona che ha lasciato più il segno nella tua anima e la sua storia?
Tante sono le persone che hanno lasciato il segno nella mia anima tantissime, se ci penso me ne tornano in mente tantissime a cui ho voluto bene e mi viene il magone. Era piccolina magrolina, stava sempre in cucinetta, sistemava le cose, era stata rinchiusa in manicomio dal marito perché lui la tradiva e la picchiava e si era messa a bere.
Era stata dimenticata lì, era sempre in ordine, sempre pulita, aveva sempre il grembiule e in tasca mozziconi di sigarette, era dolcissima nella sua rassegnazione, mi offriva sempre il caffè, fatto e rifatto coi fondi, era buonissimo quel caffè regalato col cuore.
Si chiamava Emma .
Il ricordo più bello della tua esperienza?
Ricordi belli le cose che mi hanno insegnato tanti di loro, i loro racconti, il loro affetto, non ho un ricordo specifico ho solo tanti ricordi di tante belle persone.
E quello più doloroso?
Dolore ne provavo ogni volta che moriva qualcuno, ma quello che mi fece davvero male fu la morte di Angelo, un ragazzo difficile a cui ero molto legata. L’appresi dal giornale perché ero in vacanza: era morto e non si sapeva perché. Io invece lo sapevo il perché .
E per concludere, l’amore esiste?
L’Amore esiste eccome, basta guardarsi in giro e soffermarsi sulle piccole cose e li trovi l’Amore: Madre Natura è Amore perché ci ha donato cose meravigliose o per chi ci crede Dio,Dio è Amore; gli animali il loro Amore è infinito per i loro cuccioli, i cani per i loro padroni umani; chi ama meno è l’essere umano. L’Amore dovrebbe essere la cosa che fa girare il mondo.