Entrare in contatto con le memorie orali mi ha fatto capire quanto il mio racconto fotografico fosse cambiato, e che non avrei più potuto fare a meno di michiare storie a immagini
Il calore della voce, la scelta dei vocaboli per spiegarmi un concetto e il tono, il vero protagonista indiscusso dell’emotività della narrazione.
E mai avrei pensato che questa voce fuori campo, quella che ti rimbomba nella testa ogni volta che guardi uno scatto, potesse finire, cessare e portarsi con sé tutto un patrimonio di ricordi che non potranno più essere ascoltati.
Il tempo, sicario perfetto, cancella tutto: una volta erose tutte le strutture manicomiali italiane, il passaggio successivo è quello di erodere i testimoni di quel periodo storico.
E se cancelliamo la memoria, questa si ripresenterà in una forma che non saremo più in grado di riconoscere.
Ricordo dannatamente bene quando telefonavo alla mia guida ligure che mi accompagnò dentro il manicomio di Cogoleto nel 2007 per salutarlo, ricordo il TUU prolungato in attesa di una risposta che non è mai arrivata. Chiamata dopo chiamata.
Sarà in vacanza, pensavo. Ma in realtà non era più fra i vivi.
Fine dei giochi. Dentro il silenzio di una telefonata c’erano i più bei racconti che abbia mai ascoltato sul manicomio.
E se fotografare vuol dire immortale una scena in un’immagine,
ascoltare vuol dire immortalare un pezzo di anima del narratore nella nostra memoria.
Raccogliere questi pezzi diventa quindi necessario per salvare questa forma di patrimonio culturale manicomiale.
E quindi, decido di partire, Destinazione Lombardia.
Meteo favorevole, forse anche troppo caldo. Mi aspettano alla stazione, partiamo in macchina, arriviamo nella loro casa e ci mettiamo a sedere fuori.
Sono una coppia, marito e moglie, pronti a raccontarmi memorie manicomiali.
L’inizio non è mai una cosa semplice in questo genere di discussioni e quindi scelgo di rompere il ghiaccio con qualcosa di universale, con un linguaggio che sia in grado di vivere attraverso il tempo: la fotografia.
Gli mostro gli scatti di ERA MOMBELLO: i loro sguardi sono rapiti e le loro mani, meravigliosamente tempestate di efelidi, prendono in mano queste stampe per sbloccare i ricordi e assemblarli insieme alle parole.
Perché quelle, di fronte a queste emozioni, escono da sole.
Perché solo chi ha vissuto emozioni immensamente forti ha questa grande necessità di raccontare. E io ascolto.
Queste sono le Memorie orali: testimoni viventi di un passato che non possiamo più vedere.
Patrimonio culturale inestimabile e intramontabile.
Entrambe lavoratori dentro l’ospedale psichiatrico, sento l’emozione nel tono della loro voce: credo che si stiano immaginando giovani, credo stiano immaginando il giorno in cui si conobbero, credo stiano immaginando la loro vita dentro il manicomio.
Non si racconta solo con le parole quando si racconta qualcosa.
Perché quelle possiamo sceglierle, le emozioni ed i ricordi no.
Quegli ci assalgono e scelgono le parole per noi.
Perché quelle, di fronte a queste emozioni, escono da sole.
Tutto il racconto è straordinario ma io rimango letteralmente folgorato da una piccolissima storia:
“Quando dall’ospedale portavano i pazienti al cinema, lo facevano attraversando una galleria che passava sotto la strada. Questa galleria non era stata fatta per proteggerli dalle macchine, ma perché quelli fuori non volevano vederli passare per strada”.
Rimango impietrito. Silenzio. Il manicomio come fabbrica degli invisibili.
In queste parole, fredde e taglienti come una lama di rasoio, la rappresentazione del criterio manicomiale: esclusione, separazione, alienazione. Mancanza di volontà nella comprensione dell’altro: drammatico problema che ancora oggi non sembra essere superato.
Il manicomio diventa così un luogo più grande e più complesso di quello che già immaginavo, diventa uno spaccato sociale composto da tre grandi attori:
I PAZIENTI, le figure principali che vivono dietro dietro le mura.
GLI INFERMIERI, protagonisti indiscussi nel ruolo della memoria; passano per lavoro molte ore dentro il manicomio ma vivono fuori, dentro “il mondo dei normali”, diventando l’anello di congiunzione fra i due differenti mondi.
I NORMALI, coloro che vivono oltre le mura. Il Deus ex machina del manicomio: sono loro i veri protagonisti ma non si vedono. Invisibili fabbricanti di altri invisibili.
Il manicomio esiste per la paura delle persone che vivono fuori, e nei racconti subiamo pesantemente il ruolo di questa paura.
Quanto pesa l’invisibile?
Quanto di quello che facciamo è guidato da qualcosa che non vediamo, ma sappiamo che esiste?
Un mondo sconosciuto fatto di ignoranza e stigma con pochissime storie da raccontare perché molti di loro non hanno mai avuto il coraggio di guardare in faccia chi viveva dall’altra parte del muro, di guardare quella popolazione silenziosa incatenata dentro mura costruite anche grazie alla loro paura.
Quanto pesa l’invisibile? Quante volte hai avuto paura di qualcosa che non hai mai visto, ma sai che esiste?
Persone che non si vedono l’una con l’altra.
Celle di invisibili, dove gli infermieri detengono le chiavi di entrambe i mondi.
Se i racconti dei pazienti sono poco attendibili a causa di farmaci, della paura, dell’isolamento e quelli dei normali sono guidati da stigma e pregiudizio, solo gli infermieri e chi ha lavorato a contatto con il manicomio, hanno capito che la paura ha un volto completamente diverso.
Non esiste sconosciuto se abbiamo il coraggio di guardarlo negli occhi.
Respirano lo stesso stigma dei pazienti ma vivono a fianco di chi ha paura, protagonisti di mondi capaci di ancorare questi racconti dentro i lati più remoti dell’anima.
Perché solo chi ha vissuto emozioni immensamente forti come queste, ha una grande necessità di raccontare.
Vivere il manicomio ti insegna uno spaccato di vita che nessuno vorrebbe mai vedere: chi è stato sconfitto dal più forte, chi non ha mai fatto crescere il bambino che vive dentro il suo corpo, chi non è allineato, chi è diverso.
Ti insegna che il contrario di bene non è sempre male, ma può essere anche invisibile.
Ti insegna che il contrario esclusione non è sempre inclusione, ma può essere anche umanità.
Ti insegna che l’assoluto è composto da un miliardo di variabili, che la vita è complessa, che la resistenza di alcune persone non può essere descritta con parole umane, che l’emozioni sono per sempre, che un abbraccio è per sempre.
Che i ricordi muoiono ma quello che insegnano è per sempre.
Vivere il manicomio ti insegna che la paura è stupida perché crolla sempre dopo il primo passo. Perché basta incrociare lo sguardo con un paziente per capire che tutto quello che è successo è sbagliato.
Tutto questo vive nei racconti, nel tono di voce, nello sguardo, nella tenuta delle vocali.
Nelle pause. Nella scelta delle parole.
Perché quelle, di fronte a queste emozioni, escono da sole.
Perché solo chi ha vissuto emozioni immensamente forti ha questa grande necessità di raccontare.
E noi non possiamo fare altro che ascoltare.
Per poi raccontare di nuovo queste storie.
2 commenti su “Il ruolo delle memorie orali”
Già 20 anni di Depressione maggiore, fuori e dentro la psichiatria, con farmaci che distruggono la mente, l’anima, la capacità di amare, sofferenze morali infinite, non sapere più chi siamo, invisibili e scomodi per gli altri. Solo un psicoterapia analitica per 6 anni è riuscita a dare un senso di me stessa, un faticoso lavoro emozionale, morale ed intellettivo, che ha potuto darmi il mio vero essere ed uscire con una decisione, la mia vita non era quella che stavo vivendo, perseguire l’obbiettivo di trovare me stessa, con tutte le mie forze e finalmente ritrovare una nuova me stessa. Senz’altro migliore, stupefacente, con un animo ricco ed amorevole, una rinnovata felicità di amare gli altri e me stessa, ritrovare le mie capacità, il mio senno, la mia saggezza, la comprensione ed il bene verso me stessa, solo così posso dare ad altri amore, benevolenza, pazienza e conoscenza dell’altro. Ringrazio e sempre ricordo il mio amato Analista—
Non è semplice aprirsi e mostrare un lato così delicato della nostra vita: ci vuole coraggio, sicurezza e tantissima energia.
Sei un esempio da seguire Rita, hai saputo superare le difficoltà e adesso finalmente quello che è passato è qualcosa che possiamo soltanto raccontare.
E questo messaggio meraviglioso ne è la prova.
E ti ringrazio infinitamente per averlo condiviso qua sul mio blog.