Vogliamo fare un Presepe, che sia importante
che sia di scene, di storie e di racconti abbondante
Che sia grande da non stare in uno stanzino
Proprio come quello del manicomio di Pratozanino
Un Presepe con una storia così potente
Che oltre alle porte possa aprire anche la mente
Era il 2007 quando vidi per la prima volta il Presepe del manicomi di Cogoleto. Una grande opera collettiva che si estendeva su 500 mq. di superficie. Mi ricordo che era buio. Freddo. E non avevo con me il cavalletto.
Non riuscii a salvare quella storia e per me fu una sensazione veramente orribile. Qualcuno avrebbe mai creduto all’esistenza quel Presepe dal momento che non avevo niente da mostrare? Vivo la fotografia come testimonianza di realtà. Vivo la fotografia come ultimo veicolo di storie che possono scomparire.
Ma io non ero riuscito a salvare quegli scatti. Quelle storie. Ero arrabbiato. Deluso. Qualcuno avrebbe mai creduto all’esistenza di quel Presepe dal momento che avevo perso ogni elemento da poter raccontare?
“Ok, se le foto sono venute male le farò la prossima volta”.
E la prossima volta non arrivò mai.
Scatti persi. Come la possibilità di avere i nuovi permessi per fotografare il Presepe. Fine dei giochi.
Passano i giorni. I mesi. Gli anni, con il rimorso di aver perso questa grande opportunità.
E poi arriva il 2015 con Archeologia Sanitaria, il mio primo speech pubblico. E quale luogo migliore per ospitare questo incontro se non Cogoleto? Sono emozionato, ci sono molte persone al club velico di questa splendida città e io mi presento in Jeans, maglia e giacca nera.
“Buonasera a tutti, mi chiamo Giacomo e fotografo manicomi dal 2006…”
e comincio a parlare. Parlo delle mie prime esperienze fotografiche, degli scatti nelle strutture abbandonate, nel motivo per il quale ho scelto questo linguaggio per mostrare una realtà spesso sconosciuta. Parlo delle emozioni e dei dispiaceri. Parlo del Presepe.
“Portatevi sempre il cavalletto con voi. Non esiste la prossima volta. I momenti sono unici. Sempre”.
L’intervento scorre bene, sono eccitato dal condividere il mio lavoro per la prima volta con un pubblico. E, infine, arriviamo ai saluti. A quel “Grazie” che sta alla conclusione di un intervento durato più di un’ora.
E dal pubblico vedo alzarsi una persona che mi dice: “Io ho scattato delle foto al Presepe nel 2008, se ti possono servire per il tuo racconto, posso dartele”. E a distanza di 8 anni il racconto era pronto.
Questa è la storia di Anime di Cartapesta, il racconto sul Presepe del manicomio di Cogoleto che, dopo 8 anni di attesa, diventa una vera pubblicazione cartacea nel 2016. 8 anni per avere il racconto e 1 anno per renderlo reale.
E non mi fermo. Decido di trasformare questo piccolo libro in uno strumento: sogno il suo recupero. E nel 2017 presento il libro proprio a Cogoleto con l’ambizione di poter salvare il Presepe dall’oblio.
Ma, come con le foto nel 2007, anche questo tentativo è andato fallito.
Un Presepe che ci possa insegnare il coraggio
Come la legge 180 che nacque proprio a Maggio
Un Presepe con materiali riciclati
Perché nel mondo non si stia più separati
Un Presepe che non ci faccia dimenticare
Perché la storia passata non deve più tornare
Perché c’è chi la chiama memoria
Ma a noi piace chiamarla anche vittoria
Il Presepe rimane sepolto nel manicomio di Cogoleto. Missione fallita. Ma siamo sicuri che dietro un fallimento si nasconda sempre una sconfitta? Anime di Cartapesta mi ha insegnato delle importantissime lezioni di vita che porterò sempre con me. Come il non vedere la fine di una storia dopo un rifiuto.
Se non possiamo salvarlo, probabilmente quello non è la nostra strada. La Vita ci mostra sempre la via, anche se spesso è diversa da quello che immaginiamo. Vita, in maiuscolo. E allora aspetto, fiducioso. Passano i giorni e arriviamo nel 2018, quarantesimo anniversario della legge 180. 40 anni dopo la Rivoluzione.
Rivoluzione, in maiuscolo.
E nell’anno dell’anniversario della Rivoluzione, il manicomio di Cogoleto entra in contatto con quello di Quarto. Dialogo fra due istituzioni legate dalla storia, dall’arte, dal loro passato ma non ancora dal lato umano.
E qualcosa accade. Qualcosa di incredibile. Qualcosa di Rivoluzionario, in maiuscolo.
Come possiamo mostrare quel Presepe, con l’immenso valore delle sue storie, dal momento che non si può più recuperare?
Semplice, lo ricostruiamo!
Ricostruire il Presepe per non disperdere le storie delle Anime di Cartapesta che hanno popolato quei padiglioni. Per non disperdere quella che negli anni 80 è stata l’opera che ha aperto il manicomio al mondo esterno.
Perché le cose che facciamo oggi prendono il valore nel futuro.
Perché è solo il tempo l’elemento in grado di arricchire le opere del Presente.
Perché il dolore sarà solo dannazione
Se non riesce ad insegnarci una lezione
Ma se nel dolore troviamo la soluzione
sarà questa la vera Rivoluzione
E così i nuovi artigiani della narrazione ricostruiscono le storie del manicomio che si nascondono dietro i personaggi del Presepe, interpretano le composizioni dell’Opera originale con una forma diversa. Creativa. Moderna. Elettrica.
Stessi personaggi ma narrati in modo del tutto differente ma non con minore intensità. Questo era l’unico sistema possibile per non perdere il senso del dolore, per non perdere il valore delle lacrime che i pazienti hanno versato quando dovevano rappresentare loro stessi nel dramma del manicomio.
L’unico modo per salvare le loro speranze e allo stesso tempo raccontare quello che è stato e che non dovrà più accadere. Proprio ora. Nel 2018. L’anno della Rivoluzione, in maiuscolo.
Entrambe le opere sono state realizzate con materiali di “recupero”. Messaggio fortissimo: il racconto degli esclusi nasce dagli “scarti” della società dei normali. Ma nel nuovo Presepe trovo un messaggio diverso.
C’è più memoria e meno denuncia nelle miniature di Genova Quarto.
Perché oggi rappresentiamo anche quello che il tempo ha donato all’Opera originale.
Se il primo Presepe aveva mostrato il vero volto del manicomio a chi non l’aveva ancora visto, questo nuovo mostra con orgoglio il suo superamento e ci ricorda cosa è stato quel mondo. Ce lo mostra nelle forme, nei colori.
Ci ricorda che anche la cosa apparentemente più difficile può essere realizzata.
Questa è una delle tante cose che ci ha insegnato la 180: l’impossibile può essere realizzato. Sempre.
La prima volta che ho visto i primi 4 padiglioni “ricreati” del manicomio, è stato durante la manifestazione 180×40 a Genova, giornata in cui presentavo proprio la mia ricerca sul Presepe.
Ed è stato stupore. Emozione pura. Meraviglia.
Ma oltre a importanti dettagli di vita manicomiale, questa storia mi ha insegnato 3 grandissime lezioni che porterò sempre con me:
1. Perché una perdita non è necessariamente una fine, può essere un inizio di cui non conosciamo la forma.
Le cose non accadono a caso e, soprattutto, accado nel momento giusto. Sempre. Non accadono né troppo presto, né troppo tardi. Accadono esattamente quando siamo in grado di gestirle. Quando abbiamo l’energia giusta e la forza per portarle avanti.
A me non sembrava affatto così: avevo perso tutto e ho passato 8 anni a tessere contatti per cercare di ricostruire la sua storia. Ma non sono arrivato a niente. Inconsapevolmente stavo costruendo una rete che mi ha portato all’incontro del 2015 e poi mi ha fornito i pezzi che mancavano alla storia.
È assurdo pensarci ma se avessi scattato le foto “corrette” la prima volta, probabilmente oggi non sarei a scrivere questo post, non avrei tessuto tutti questi contatti, non avrei un libro, non avrei conosciuto persone meravigliose.
Tutto Anime di Cartapesta è nato da una perdita. Quella perdita era l’inizio di una nuova ricerca fatta di telefonate e incontri, come se la Vita mi avesse avvisato che per raccontare tutta quella storia ci fosse bisogno di un pubblico adeguato e di una responsabilità particolare. E io avevo tutto quello che mi serviva per portare avanti il lavoro.
Quindi cerca la tua squadra, cerca i tasselli che mancano e la storia prenderà corpo da sola.
2.Non smettere mai di crederci
Mai. Non smettere mai di crederci. Le difficoltà e gli errori ci indicano la strada da seguire, non il pretesto per mollare. Se noi abbiamo determinati sogni, dobbiamo lavorare per trovare quello che ci serve per realizzarli. Neppure i sogni vengono a caso nelle persone.
Ho sofferto e mi sono arrabbiato molte volte nel mio lavoro, soprattutto in questa storia.
Ma la sofferenza e la rabbia non sono mai stati pretesti validi per gettare la spugna.
3.Qualsiasi cosa per nascere ha bisogno del suo tempo.
“La pazienza è Rivoluzionaria” disse Giovanna del Giudice durante l’incontro PER USCIRE E BASTA del Teatro Periferico a Milano nel 2017.
Fermarsi. Aspettare. Perché qualsiasi cosa che deve ancora nascere ha bisogno del suo tempo. Ma non siamo noi a deciderlo. Dobbiamo accompagnare la crescita, creare il percorso per far sviluppare quello che abbiamo in mente. Rispettare il tempo, rispettare il suo valore. Perché è solo il tempo l’elemento in grado di arricchire le opere del Presente.
E se negli anni 80 il Presepe ha mostrato a tutti cosa si nascondeva dietro quelle mura, oggi questi personaggi ci ricordano che quel dolore non deve essere riproposto, che la sofferenza di queste persone è parte integrante dell’opera collettiva del manicomio di Cogoleto e che, nonostante sia ancora sepolta, riesca ancora a toccarci l’anima, ci ricordano di quanto si possa essere indifesi di fronte all’esclusione e alla mancanza d’identità.
I personaggi del Presepe ci ricordano che ce la possiamo fare.
Ce la possiamo fare, sempre.
Ce la possiamo fare, indipendentemente.
Ce la possiamo fare, nonostante.