Io non sono un medico.
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Non ho mai studiato medicina. Nè psicologia.
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Sono quanto più distante ci possa essere da un medico. Ma non per questo posso dire di non essermi mai avvicinato al disagio mentale.
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Io non sono un medico. Non ho scoperto la follia fra le innumerevoli definizioni scritte sui libri di scuola. Nelle patologie. Nelle analisi.
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Sono un fotografo, ho scoperto la follia nel silenzio dei manicomi.
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Sono nato nel 1980, solo due anni dopo la riforma 180, e sono venuto al mondo nell’unico paese che non ha manicomi per legge. Sono nato 2 anni dopo la loro fine e quasi 10 anni fa ho deciso di vederli per la prima volta.
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Io non sono un medico, non conoscevo bene la storia di quelle strutture, di quali cose fossero accadute al loro interno, di come vivessero i “pazzi” che erano rinchiusi in quei luoghi, così ho deciso di iniziare un cammino che mi potesse portare non solo alla loro scoperta, alla documentazione di quel mondo che non esisteva più, ma anche nella discesa delle nostre più intime paure che sono state in grado di creare questi luoghi di isolamento.
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Ho camminato dentro la polvere e il silenzio di 14 strutture manicomiali del centro/nord Italia e tutte avevano in comune una cosa: il silenzio.
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E proprio dentro quel silenzio si nascondevano tutte le risposte al perchè di questo drammatico capitolo della nostra storia: in quei corridoi ho trovato la mancanza di dialogo, la paura del confronto, la vergogna, il disprezzo.
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Io non sono un medico e non posso descrivervi le patologie, ma vi posso raccontare delle figlie illegittime rinchiuse, delle vittime di stupri che venivano fatte passare da pazze per non creare scandalo, dei bambini abbandonati alle porte del manicomio dai propri genitori, di alcolisti, di uomini e donne legati da anni in camicia di forza e di vecchi a cui trema ancora la voce quando ti raccontano dell’elettroshock.
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Vi posso raccontare di chi scriveva graffiti sui muri perchè nessuno voleva parlare con lui. E di chi dipingeva per scacciare i loro demoni.
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Vi posso raccontare storie di uomini, di vittime, di artisti, di figli di una mentalità che preferiva isolare il diverso anzichè cercare di comprenderlo.
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Questi erano i pazzi. Quello che la società non voleva vedere. Che preferiva nascondere.
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Io non sono un medico ma non posso non aiutare a combattere queste strutture, specialmente in Brasile, dove c’è un forte legame con l’Italia grazie al protagonista indiscusso alla lotta ai manicomi: Franco Basaglia con le sue conferenze svolte nel 1979.
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E mai come oggi mi sento vicino a voi perchè la lotta contro i deboli è la sconfitta della nostra coscienza, la violenza sul malato è la sconfitta della nostra umanità, l’alzare i muri per dividere i matti dai normali è la sconfitta della nostra anima.
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E dopo tutte queste sconfitte non ci rimane altro che il vuoto. Il silenzio. Quello che ho fotografato nei corridoi dei vecchi manicomi abbandonati.
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Io non sono un medico ma continuerò a lottare per i più deboli e non posso non citare una bellissima frase di Basaglia che ci mostra come il manicomio non sia solo una struttura ma un vero e prorpio modo di pensare:
“La follia è una condizione umana.
In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.
Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla.
Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere”
Forza Brasile, non arrenderti.
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Nel 2015 il Governo brasiliano sostituisce il vecchio coordinatore di Salute Mentale del Ministero, di puro stampo antimanicomiale, con un ex direttore di manicomio. Del più grande manicomio privato del Brasile, chiuso nel 2012 per abusi sui pazienti. E dalla visione sulla salute mentale totalmente opposta.
E questo ci fa paura. Ci fa paura perchè sappiamo quanto sia lungo conquistare dei diritti e quanto sia rapido perderli. Ci fa paura perchè quella realtà è ancora vicina, troppo vicina per dirsi superata. Ci fa paura perchè non deve più tornare il manicomio.
Sono in contatto con delle Associazioni che stanno lottando e hanno chiesto come contributo una lettera.
Quella che avete appena letto è il mio contributo a questa lotta, perchè il manicomio dovrà essere un ricordo del passato che servirà per edificare un futuro diverso. Proprio senza manicomio.
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2 commenti su “IO NON SONO UN MEDICO”
Il silenzio è il sipario dietro cui si nasconde l’indifferenza.
Ciao Attilio e grazie del tuo commento.
Hai proprio ragione e condivido pienamente il tuo pensiero: “il silenzio è il sipario dietro cui si nasconde l’indifferenza” è una frase tanto drammatica quanto veritiera. Perchè è proprio dietro il silenzio dell’indifferenza che si consumano le cose più atroci.
Grazie della lettura e del tuo commento caro Attioli.
A presto