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Manicomio di Mombello

Oggi voglio raccontarvi una storia. Di quelle che non muoiono mai. Di quelle che andrebbero assolutamente conservate nel nostro cuore. Perché è quello il posto dove dovrebbero stare.
Era proprio durante la sessione fotografica nel manicomio di Mombello che la mia guida mi dice di volermi mostrare una cosa una volta finito di fotografare.
Mi porta in un ufficio. Apre un armadio e mette sul tavolo un album.

“Questo l’ho salvato dalla polvere, non potevo lasciarlo là dentro. Ne sono gelosissima”

Appena giro la prima pagina mi blocco, rapito dalle immagini: un album fotografico autentico realizzato durante il ventennio fascista.
La guardo e le dico: “Questa cosa non può morire, dobbiamo fare qualcosa”. Ed ecco che mi nasce l’idea di poter digitalizzare tutto quel patrimonio.
Scattare foto alle foto per renderle immortali.

L’album è composto da 104 fotografie che raccontano la vita dentro il manicomio di Mombello. Un taglio d’immagine sopraffino. Delicato. Come solo che ha conosciuto la pellicola può fare.

Manicomio di Mombello

Iniziamo con una classica sessione di esterni, per illustrare la bellezza dell’architettura e poi passiamo alle attività svolte. Vediamo la tipografia, le cucine, il materassificio. Un mondo raccontato in 104 foto. Vediamo bambini che studiano, donne che cuciono e uomini che lavorano nei campi. E poi non potevano mancare i medici. Ma non capisco una cosa mentre scatto: come sia stato possibile tutto questo? Il suo ordine, la perfezione di questi scatti, la pulizia. Come mai non si riusciva a percepire l’atmosfera manicomiale?

“Sono scene costruite…”

La frase della guida mi lascia interdetto. La guardo sbigottito. “Si, le stanze che vedi le preparavano prima dell’ingresso del fotografo. Ogni scena doveva essere perfetta e perciò la sistemavano perché lo scatto potesse rappresentare una bella realtà”.

Mombello. Manicomio. Fascismo. Censura.

Di colpo le immagini prendono un altro aspetto. A suo modo diventano ancora più belle. Perché se non si conosce questo particolare abbiamo di fronte una semplice scena manicomiale ma, dove avere la chiave di lettura, abbiamo davanti a noi una VERA scena manicomiale.

Una vita inventata per essere raccontata. Per far vedere al mondo che tutto è bellissimo. Ma non è forse questo il manicomio? Una distorsione della realtà? Una realtà dove non esiste il diverso, o meglio, dove non lo si capisce. In qui camici bianchi allineati vediamo questo. Nelle persone in posa durante il lavoro vediamo sempre questo. Nei dottori che visita. Nelle insegnanti che insegnano. Ovunque.

Il diverso non esiste. O non “deve” esistere?

Manicomio Mombello

E mentre fotografo immagino come possano essere state quelle stanza prima dello scatto. E dopo lo scatto. Ci sarà stato abbandono? Lo sporco? Persone legate? No, questo non lo dobbiamo sapere. Da questi scatti dobbiamo solo vedere questa facciata.

Il diverso non esiste. O non “deve” esistere?

La digitalizzazione mi occupa molto tempo, mi dedico con cura a questi scatti. Come se volessi rendere perfetta una realtà che di fatto non lo era. Che queste foto nascondessero un messaggio attuale? Una realtà creata in studio per nascondere un mondo fatto di silenzi, di alienazione, di dolore.

Il male non esiste.

Le donne in gruppo in lavori a maglia. Gli uomini nei campi. Le foto del Duce alla parete. Il ritratto di un’Italia perfetta. Ma alla fine dietro ogni risultato perfetto si nascondono basi fallimentari. Il manicomio non ha mai accettato la realtà, la verità. Ha sempre preferito omettere. Non mostrare. Non raccontare. Perché accettare costa sempre di più.
La verità non esiste.

Il lavoro di Vincenzo Aragozzini, questo il nome del magistrale fotografo, racconta in sole 104 foto un concetto molto profondo: ci mostra la retorica dello sguardo, la sufficienza con cui affrontiamo certi argomenti, la leggerezza di non voler mai andare oltre. Di dubitare. Perchè questo potrebbe innalzarci. E ci spaventa.
Ho voluta dare un titolo a questa raccolta: ERA MOMBELLO. Dove la parola era può essere intesa come passato di ESSERE oppure come EPOCA. Come se quel Mombello fosse una porzione di tempo che contenesse un modo di pensare e di agire tipico della vera realtà manicomiale.
Fatta di silenzi. Di incomprensione. Di invisibili.

Una vera ERA manicomiale.

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