Le scene del manicomio non sono tutte uguali, non esiste un corridoio uguale all’altro, una finestra uguale ad un‘altra, una crepa identica ad un‘altra.
Ogni cosa ha la sua storia, anche se a primo impatto ci sembrano scene identiche.
Ci sono scene che ci fanno pensare, altre che ci fanno rattristare, altre che ci colpiscono direttamente allo stomaco. Ed è proprio di queste che vi voglio parlare.
Ricorda ancora una lezione di grafica pubblicitaria dove si diceva: “Vi colpisce di più una scena in cui viene mostrata una cosa orribile oppure una in cui ve la fanno solo immaginare?”
Eccola la domanda. Cosa ci colpisce di più?
[Tweet “Ci colpisce più vedere o immaginare?”]
Indubbiamente la seconda.
Perchè la nostra immaginazione scava nelle nostre paure, in modo che ogni persona, di fronte ad una certa scena, riesca a immaginarsi percorsi differenti per arrivare a quel risultato.
Non ne ho trovate molte di queste scene ma in quelle poche, purtroppo o fortunatamente, sono “segnate” da piccolo errore: il micromosso.
Non rimasi indifferente alla sedia colore blu e metallo del manicomio di Vercelli, che trovai da sola in un padiglione vuoto, polveroso e spettrale, quando girai la testa sulla mia sinistra appena entrato al suo interno. Scattai e quell’ansia colpì prima il cuore e poi le mani. E ci fu il micromosso.
Non rimasi indifferente alla foto che trovai su un tavolo al primo piano di un padiglione nel manicomio di Rovigo: un volto di donna sopra una borsa. Nella testa l’immaginazione cercò di arrivare a ricostruire la storia di quell’immagine. Di chi era quella borsa? Era forse della donna? Ma chi era quella donna in foto? Scattai e quell’ansia colpì prima il cuore e poi le mani. E ci fu il micromosso.
Cammino nel manicomio di Voghera e non sono rimasto indifferente ad una delle scene più forti che abbia mai visto dentro una struttura manicomiale: un corridoio con biciclette per bambini.
Le mani iniziano a tremare e la mia mente non può non immaginare qualcosa.
“Vi colpisce di più una scena in cui viene mostrata una cosa orribile oppure una in cui ve la fanno solo immaginare?”
Penso all’innocenza. A bambini sorridenti. A che cosa potesse averli rinchiusi dentro un manicomio. E sale la voglia di immortale quella scena.
Ansia. Misto emozione. Misto ancora ansia.
[Tweet “Cosa può rinchiudere dei bambini in manicomio?”]
Scatto senza pensare alla scena, penso solo all’innocenza rinchiusa. A quei sorrisi che nessuno potrà più ascoltare. A quei giochi che non sono mai stati più usati. A quelle grida. Così forti che si possono ancora ascoltare in quei corridoi.
Le mani non stanno ferme, si muovono avide sull’obiettivo. Scatto e arriva ancora quell’ansia che mi colpisce prima al cuore e poi alle mani: ed eccolo che ricompare il micromosso.
Quel leggero difetto mi fa tornare in mente quell’emozioni provata di fronte a una scena decisamente forte. Non riesco a essere freddo, insensibile. Nonostante i 9 anni di fotografia in luoghi abbandonati, riesco sempre a trovare qualcosa capace di scavarmi nell’anima e di sconvolgermi.
Io devo convivere con questa debolezza che mi ha aiutato a raccontare molte storie, anche se spesso mi ha legato a difetti di immagine.
Ma anche se leggermente difettate, certe immagini non si possono non condividere.
E tenere vive nella nostra memoria.
Un commento su “Quelle volte che ho avuto paura”
Buongiorno. Sto cercando notizie dello scrittore Lucio Mastronardi ricoverato presso il manicomio di Voghera tra i mesi di settembre e novembre dell’anno 1974. Può aiutarmi? Grazie