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Finestra, Maragliano, Volterra, manicomio di Volterra

Finestra con vista sul mondo

Eccolo lì, il Maragliano. E’ vecchio, polveroso, fragile. Fuori fa caldo, un bel clima primaverile qua a Volterra.

Mi avvicino alla porta con la guida e, prima di entrare, la vedo bussare alla porta dicendo:
“C’è nessuno?” Rimango momentaneamente impietrito. Queste parole usate per allertare qualcuno del nostro arrivo, per poter far allontanare qualcosa per permettere la nostra visita.

Questa frase avrebbe allontanato tutto tranne che i ricordi. Quelli non abbandonano questa struttura.

Il Maragliano non può essere immaginato: è un luogo cupo, decadente e silenzioso, ci sono scheletri di letti ammassati nei corridoi e stanze vuote e silenziose.

Mi giro in una stanza e mi trovo questa finestra: la guardo prima di scattare, fermo, silenzioso e incuriosito.

Questa finestra aveva dei fori sulle persiane e delle piccole tendine per poterli coprire. Sembravano due occhi capaci di guardare proprio dentro di noi.

“Forse era usata per guardare fuori ” mi ha detto la guida.

Una finestra con vista sul mondo, usata dal paziente per guardare fuori, per volare con l’immaginazione.
Uno sguardo che riusciva ad andare oltre la contenzione, la reclusione: la voglia di continuare a sognare.
Uno sguardo a caccia di sogni, di libertà.

E quelle tendine. Erano usate per coprire questi fori e non far entrare luce nella cella? Non lo sappiamo.

Scatto.

Mi allontano dal Maragliano.

[Tweet “Le stelle cadenti vanno vissute, non inseguite.”]

Passano giorni. Mesi da quella visita. Un giorno d’estate decidiamo di fare un viaggio a Volterra contro il caldo. A cercare refrigerio, a cercare evasione. Una di quelle fughe senza regole che fanno bene all’anima, che ci ricaricano.

Facciamo due passi in questa ridente città, passiamo vicino al manicomio e ci imbattiamo in una coppia di signori con una cane.
Lei silenziosa, lui legato al manicomio.

Ex paziente? No, ex infermiere. Ma con una grande voglia di parlare. La cosa che colpisce è che non c’è una netta differenza nella voglia di comunicare fra chi ci viveva e chi ci lavorava: entrambe hanno passato la maggior parte della loro vita dentro la stessa struttura ed entrambe condividono ricordi, emozioni, storie e speranze. Ed entrambe hanno la stessa necessità di raccontarle.

Non scopriamo il nome di questa persona ma poco importa, ci immergiamo nel suo racconto. Ci parla delle persone che non volevano dormire, di chi preferiva farsi cucire al letto con bracciali di stoffa per non muoversi, ci parla delle discussioni che ha avuto con dei pazienti per rimuoverli da questi schemi di contenzione. Ci parla. E non posso far altro che essere colpito. Emozionato.

Un luogo di sofferenza però formato da ricordi. Ricordi umani. Dolore e amore. Passione e speranza. Nelle sue parole si sente questo. Come in quei fori sulla finestra: la stessa voglia di speranza, di umanità.

Ci salutiamo e lo ringrazio per il tempo dedicato ma non so neppure il suo nome, come rintracciarlo per poterci parlare nuovamente. Magari per poter trascrivere una sua intervista. Quella era una meteora. Una stella cadente.

E le stelle cadenti vanno vissute, non inseguite. Le sue parole sono state  meravigliose perchè spontanee e non si possono replicare. La sua è stata una voce che ha arricchito questo luogo di una nuova storia. Di nuove storie.

Che si posson solo raccontare. Ma non si possono rivivere.

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2 commenti su “Finestra con vista sul mondo”

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